martedì 30 giugno 2015

Trovato il Vangelo più antico esistente: “Gesù non è chi pensate”....Ma ha solo 500 anni

Scoperto nel 2000 e, successivamente tenuto segreto, il libro contiene il Vangelo di Barnaba – un discepolo di Cristo – il quale rivela che Gesù, né è stato crocifisso, né è il figlio di Dio, ma è solo un profeta. Il libro, inoltre, giudica l’apostolo Paolo come un impostore. Il libro sostiene anche che Gesù ascese al cielo vivo, e che Giuda Iscariota fu crocifisso al suo posto. Un articolo del National Turk , dice che la Bibbia è stata sequestrata ad una banda di contrabbandieri durante un’operazione nella zona del Mediterraneo. L’articolo afferma che la banda è stata accusata di contrabbando di antichità, scavi illegali e possesso di esplosivi. Il libro è valutato 40 milioni di lire turche, circa 30.000 euro.
Autenticità – Secondo i rapporti, le autorità religiose di Tehram insistono sul fatto che il libro sia originale. È scritto con lettere d’oro in aramaico, la lingua di Gesù Cristo. Il testo mantiene una visione simile a quella dell’Islam, contraddicendo gli insegnamenti del Nuovo Testamento del cristianesimo. Gesù prevede anche la venuta del Profeta Maometto, che avrebbe fondato l’Islam 700 anni dopo. Si ritiene che, durante il Concilio di Nicea , la chiesa cattolica raccolse a mano i vangeli che formano la Bibbia come la conosciamo oggi, omettendo il Vangelo di Barnaba (tra molti altri) a favore dei quattro vangeli canonici: Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Molti testi biblici hanno cominciato ad affiorare nel corso del tempo, compresi quelli del Mar Morto e iVangeli Gnostici; ma questo libro in particolare, sembra preoccupare il Vaticano.
Cosa significherebbe per la religione cristiana e i propri seguaci? Il Vaticano ha chiesto alle autorità turche di farli esaminare il contenuto del libro all’interno della Chiesa. Ora che il libro è stato trovato, accetteranno le prove contenute in esso? O negheranno tutto?
Ma l’opera sarà davvero reale o frutto di un bravissimo falsario per denigrare la religione cristiana a favore di quella islamica? 

Il vangelo ritrovato in Turchia ha solo 500 anni

1 – la velina Negli ultimi giorni è circolata sulla stampa mondiale una notizia a dir poco clamorosa. Si tratta della scoperta di un vangelo in lingua siriaca di 1500 anni fa che descriverebbe Cristo come semplice uomo e non come Dio e che profetizzerebbe la venuta del vero messia: Muhammad, profeta dell’islam. Le agenzie di stampa internazionali da cui pescano tutti i giorni mondiali hanno a loro volta pescato dal giornale turco al-Zaman che – pare – abbia dato per primo la grande notizia. I titoli della stampa si sono concentrati su due aspetti: 1. il vangelo contiene la profezia di Muhammad; 2. il Vangelo è antichissimo, risalente a 1500 anni fa. 
Vediamo come alcune fonti italiane hanno riportano la notizia: IL VANGELO CONTIENE LA PROFEZIA DI MUHAMMAD 1. La Stampa – Titolo:  Vangelo di Barnaba in Turchia 2. Blitz quotidiano – Titolo: “Gesù predisse l’arrivo di Maometto”: Turchia, scoperto vangelo apocrifo. IL VANGELO E’ ANTICHISSIMO, RISALE A 1500 ANNIA FA 1. Euronews – Titolo: Turchia: scoperta una Bibbia scritta 15 secoli fa La notizia è circolata in modo massicco nel mondo islamico dove è stata considerata la prova finale che il Vangelo nelle mani dei cristiani non è quello “vero” (?!) e che Maometto è un profeta annunciato dallo stesso Gesù, cose che i musulmani vanno ripetendo sin dalle origini dell’islam. D’altronde quale sarebbe la legittimità della profezia di Muhammad se le scritture anteriori, a cui il profeta dell’islam collega strettamente la sua predicazione, tanto da chiamarsi “il sigillo dei profeti”, non dicessero nulla su di lui? Questo è quello che dice la stampa. Nessun giornalista si è preso la briga di verificare la notizia fatta filtrare alla stampa dal governo turco. Una velina, in poche parole. 2 – il testo: il vangelo apocrifo di Barnaba? Veniamo ora al testo. Di che testo si tratta e in che epoca è stato scritto? Iniziamo con una prima ipotesi, quella diffusa dalla stampa: il testo è il vangelo apocrifo di Barnaba. Il vangelo apocrifo di Barnaba è l’unico che conterrebbe un’esplicita profezia riguardo a Muhammad. Barnaba, discepolo di Gesù, racconta la storia del Maestro, descritto come un semplice profeta del tutto uomo. Non solo Gesù menziona Muhammad per nome ma include anche la shahada (la professione di fede islamica) (v. cap. 39). Il testo è fortemente antitrinitario e antipaolino: descrive infatti Paolo come “l’illuso”. Inoltre, il vangelo di Barnaba afferma che Gesù sfuggì alla crocifissione e fu innalzato in cielo mentre a essere crocifisso al suo posto fu Giuda Iscariota. Tutte cose che rappresentano un manuale di cristologia islamica. Interessante è come Gesù predice la venuta di Muhammad (97:9-10): Poi il sacerdote disse: “Come si chiama il Messia, e quale segno si rivela la sua venuta?” Gesù rispose: “Il nome del Messia è ammirevole, perché Dio stesso gli ha dato il nome quando ha creato la sua anima, e l’ha immesso in un celeste splendore. Dio disse: “Aspetta Muhammad; per te io vorrei creare il paradiso, il mondo, e una grande moltitudine di creature. Ti faccio un regalo, perché chiunque ti benedica deve essere benedetto, e chiunque ti maledice si è maledetto. Quando ti invierò al mondo ti invierò come mio messaggero di salvezza, e la tua parola sarà sincera: il cielo e la terra passeranno, ma la tua fede non non passerà mai. Muhammad è il suo benedetto nome.” Poi la folla alzò la voce, dicendo: “O Dio inviaci il tuo Messaggero: O Ammirevole, vieni presto per la salvezza del mondo!” Come si nota il vangelo offre esplicitamente il nome del profeta che salverà il mondo e gli attribuisce molte funzioni che Gesù attribuisce a se stesso nei Vangeli canonici: l’essere salvatore del mondo, l’avere una parola che non passerà mai ecc. Il fatto più strano è che Gesù, che viene chiamato Cristo dal vangelo di Barnaba, afferma di non essere lui il messia (il che è una contraddizione in termini perché Cristo è la traduzione greca di Messia, cioè l’Unto!) ma che il vero messia sarebbe stato Maometto: Gesù confessò e disse il vero: “Io non sono il Messia” (42:2) Poi il sacerdote disse:” Come si chiama il Messia?” […] Muhammad è il suo benedetto nome. (97:9-10) I musulmani hanno fatto loro questa profezia malgrado sia in aperta contraddizione con il Corano e la tradizione profetica islamica dal momento che Muhammad non si è mai autoconferito il titolo di Messia e anzi ha sempre chiamato Gesù come il Cristo, dunque il Messia. Ammettiamo pure che sia una profezia su Muhammad. Peccato però che sia giunta… 1000 anni dopo Maometto! Di fatto, di questo vangelo di Barnaba (che ora chiameremo pseudovangelo) non esistono che due manoscritti, entrambi del tardo XVI secolo (!!), redatti uno in italiano e uno in spagnolo. Quello spagnolo è andato perso e il testo lo si ritrova in un testo più tardivo ancora del XVIII secolo. I manoscritti presentano anche una serie di anacronismi e imprecisioni che contribuiscono – qualora ce ne fosse bisogno – ad azzerarne l’importanza teologica e apologetica (vedi qui sotto “Anachronisms”). Lo pseudovangelo di Barnaba è quindi palesemente un falso. Prenderlo seriamente come l’unica vera profezia su Muhammad è prendersi in giro e di fatto affermare che questa profezia non esiste. Ora torniamo alla “scoperta” in questione. Supponiamo che si tratti del proto-pseudovangelo di Barnaba, la fonte siriaca dei due manoscritti italiano e spagnolo, visto che il vangelo scoperto è redatto per l’appunto in lingua siriaca. C’è un primo problema: dalle foto e dai video che circolano del vangelo si legge chiaramente questo: ܒܫܡܬ ܡܪܢ ܦܝܫ ܟܬܒܐ ܐܗܐ ܟܬܝܒܐ ܥܠ ܐܝܕܬܗ ܕܪܒܢܐ ܕܕܝܪܐ ܥܠܝܐ ܒܢܢܘܐ ܒܫܢܬ ܐܠܦܐ ܘܚܡܫܡܐ ܕܡܪܢ Bishmed maran paysh kthota id ay kthawa il ——— ib Nenwa ipsheta alpa o hamshaima id maran cioè “Nel nome del Signore, [è stato] scritto questo libro … in Ninive nell’anno 1500 di nostro Signore”. Quest’incipit farebbe venire non pochi dubbi su tutta l’operazione mediatica. Innanzitutto, è chiarissimo che il manoscritto è del 1500 e non del 500. Quindi ha soltanto 500 anni e non 1500 come tutta la stampa ha scritto. Una bella delusione, visto che la presunta profezia avrebbe avuto un senso se fatta nell’anno 500 d.C. (Muhammad nacque attorno al 570) ma non ha più alcun senso nel 1500 d.C.! A confermare ciò sarebbero altre considerazioni: 1. la grafia siriaca utilizzata è detta nestoriana ed è apparsa intorno al 1100 d.C. Dalla tabella seguente è evidente come la scrittura nestoriana sia ben distinguibile dalle altre: 
2. le lettere dorate non sono state usate che piuttosto tardivamente. Poi la dicitura “dell’anno del Signore” (cioè Gesù Cristo) non rende il tutto ancora meno credibile? Se si tratta dello pseudovangelo di Barnaba, non c’è dunque niente di nuovo sotto il sole. Si tratterebbe di una bufala del XVI secolo, scritta in siriaco il che non la rende meno bufala. Nessuna importanza né scientifica né teologica e neanche filologica visto che si tratta di un manoscritto piuttosto tardivo. Inoltre, nessuna profezia come tutti i siti islamici stanno urlando in questi giorni in preda a un delirio collettivo. 3 – Peshitta! Ma c’è di più. Timothy Micheal Law, ricercatore alla Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Oxford, ha affermato, in questo articolo, che zoomando le foto e i video disponibili sul manoscritto (come questo) emerge che il testo è chiaramente la traduzione siriaca del Vangelo, la Peshitta! E in particolare si tratta della conclusione di Matteo (si legge chiaramente il versetto 20 del capitolo 28). Quindi, tanto fumo per niente? Si tratta “solo” di un manoscritto tardivo della Peshitta? Perché allora la stampa turca ha creato tutto questo clamore attorno a questo manoscritto? Perché hanno divulgato una bufala colossale? A quale scopo? Guardate di non lasciarvi ingannare (Lc 21,8) 

sabato 13 giugno 2015

CAMPIONI PER SEMPRE

C'erano i tifosi attempati che hanno avuto il privilegio di vedere dal vivo, seduti sugli spalti dell'Amsicora, i micidiali tiri di sinistro di Gigi Riva e i voli d'angelo tra i pali di Ricky Albertosi; c'erano i loro figli, cui hanno tramandato le gesta degli eroi del 1970 e i figli dei loro figli, una terza generazione di tifosi che si sono avvicinati timidamente per chiedere l'autografo e per fare una foto insieme a quei signori maturi che avevano visto soltanto in vecchie immagini in bianco e nero alla televisione. Una gran folla per celebrare i campioni d'Italia 1970. L'occasione era speciale: la cerimonia che ha intitolato due strade cittadine ad una squadra entrata nella leggenda del calcio italiano. "Viale Campione d'Italia 1969-70" e "Piazza Manlio Scopigno", proprio in prossimità dello stadio Amsicora, il teatro delle gesta dei rossoblù. Fuori dall'impianto, un pannello con i nomi dei protagonisti dell'impresa: Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Niccolai, Tomasini, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva, Reginato, Poli, Mancin, Brugnera, Nastasio. E poi ancora l'allenatore Manlio Scopigno, il vice Ugo Conti, i massaggiatori Duri e Viganò, il presidente Corrias, l'amministratore delegato Andrea Arrica, primo artefice della costruzione di quella grande squadra.Alcuni di questi hanno messo radici in Sardegna alla fine della carriera: Gigi Riva, Ricciotti Greatti, Mario Brugnera. Beppe Tomasini, Adriano Reginato, Cesare Poli. Hanno tutti risposto presente. Sono arrivati per l'occasione anche Ricky Albertosi e Angelo Domenghini, oltre a Marcello Zignoli, il fratello dell'indimenticabile Giulio, giunto apposta da Verona, e la signora Gianna Martiradonna, vedova del grande Mario. Il Cagliari di oggi era rappresentato dal presidente Tommaso Giulini,che ha dichiarato: "La mia più grossa emozione da quando rivesto l'incarico è stata entrare in Lega e vedere il nome del Cagliari tra le squadre vincitrici del campionato. Non sono molti ad avere quest'onore. La vittoria del 1970 è un orgoglio per tutti i cagliaritani e tutti i Sardi, e io sono fortunato di avere l'onore di rappresentare qui la Società".Quando il sindaco Massimo Zedda ha concluso il suo discorso, si è levato un grande, spontaneo applauso. I giocatori hanno preso la parola. "Una bella iniziativa, arrivata al momento giusto - ha detto Gigi Riva -  Servirà a tener vivo il ricordo di quella vittoria per le nuove generazioni".Ricky Albertosi: "Sono tornato indietro di quasi cinquant'anni. Vedo tanti tifosi di tutte le età, ti fa rendere conto ancora di più della portata di ciò che abbiamo fatto. E c'è anche un po' di nostalgia, nel rivedere uno stadio dove ho giocato per due anni e che mi ha dato tante soddisfazioni".Mario Brugnera: "Adesso che è stata fatta la piazza, bisogna fare lo stadio. Speriamo che si possa realizzare presto e che il Cagliari possa vivere altre grandi soddisfazioni".Angelo Domenghini: "Ogni volta che torno all'Amsicora provo un briciolo di malinconia. Fossimo rimasti in questo stadio avremmo vinto anche di più: conoscevamo ogni angolo del campo, io e Gigi avevamo dei movimenti sincronizzati alla perfezione. La cerimonia di oggi è un onore per noi: così anche i nostri nipoti sapranno cosa abbiamo fatto. Ed è piacevole rivedere i vecchi compagni, che sono soprattutto degli amici".Ricciotti Greatti: "Siamo campioni per sempre. La nostra impresa resta nella storia e nel cuore di tutti i Sardi".Cesare Poli: "E' una grande gioia innanzitutto rivedere i vecchi amici che con te hanno condiviso tante gioie. Li vedo sempre in forma, anche se il tempo passa. Alcuni non hanno potuto partecipare, ma solo per motivi di salute. Fa piacere che venga ricordata a distanza di tempo una vittoria sportiva che ha significato tanto per la Sardegna.Adriano Reginato: "Una splendida emozione, per noi e per i nostri nipoti. Vedersi intitolare una strada non accade tutti i giorni: ancora più bello, quella dove abbiamo vinto lo scudetto".Beppe Tomasini: "I nostri sacrifici, le nostre lotte, hanno fatto felici e onorati tantissimi sardi: quando giocavamo in trasferta, al Nord, venivano in 5000 a vederci. Dopo oggi, siamo sardi anche noi, sul serio, non solo acquisiti".Una volta conclusa la cerimonia, il gruppo si è spostato all'hotel "Regina Margherita", dove è stata allestita una Mostra celebrativa dello scudetto 1970, con tanti cimeli storici, tra cui maglie, foto e palloni dell'epoca. La Mostra sarà aperta al pubblico domani, dalle 9 alle 18. L'ingresso è gratuito, per un appuntamento da non perdere per tutti i tifosi rossoblù.

venerdì 12 giugno 2015

La Seconda Guerra Mondiale non solo contro "il male assoluto"

La Seconda guerra mondiale non fu una guerra contro il “Male Assoluto” ma un conflitto tra meri interessi economici, militari e politici


Nei libri di scuola e nella versione dominante comunemente accettata, i motivi che portarono allo scatenarsi della Seconda Guerra Mondiale sono stati considerati tutti riconducibili alla “megalomania”, vera o presunta, di Hitler, dei suoi gerarchi e dei suoi seguaci.
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Essi avrebbero pianificato una guerra totale, basata sullo sterminio di chi non era o non la pensava come loro, e a fine guerra avrebbero imposto la supremazia della “razza ariana”, ovvero, secondo la versione comune, delle persone bionde e con gli occhi azzurri, mentre il resto sarebbe stato schiavizzato e/o eliminato, sembra ad eccezione dello stesso establishment nazista, dove persone con queste caratteristiche “ariane” erano assai rare, a partire dal capo delle SS Heinrich Himmler, notoriamente di origine mongola, e dallo stesso Fuhrer, che secondo recenti esami sul Dna aveva pure origini ebraiche e berbere (notizia ovviamente da prendere con le pinze quest’ultima, ma comunque degna di interesse).
Quindi, la guerra, causata dall’espansionismo tedesco verso l’Europa dell’Est e dal “piano diabolico” hitleriano, sarebbe stata uno scontro tra il “Male Assoluto” e le forze del “Bene” che avrebbero alla fine trionfato liberando l’Europa e il mondo e assicurando decenni di pace,libertà e prosperità.
Lasciando stare alcune modalità di questa “liberazione” (bombardamenti, stupri di massa e terrorismo ) già trattati ampiamente su questo blog, ciò che preme sottolineare è che in realtà le cose non sono così semplicistiche come sino ad ora sono state descritte, e la Seconda Guerra Mondiale fu sicuramente più uno gigantesco scontro tra interessi di grandi potenze, basato su enormi crimini da ambo le parti, che una lotta del “Bene” contro il “Male”.
Prima di tutto, è ovvio che non si trattò di una guerra per la libertà o i diritti umani,
tanto che tra i “buoni” Alleati vi era anche l’URSS di Stalin, che si era già macchiata dello sterminio di più di 7 milioni di ucraini (Holodomor,) e della morte di molti altri milioni di dissidenti nei gulag, e alcuni metodi brutali usati dai nazisti prima del 1939, gli usavano tutte le grandi potenze.
L’uso dell’eugenetica e dell’eutanasia non fu certo un’invenzione nazista, ma venne praticato sin dal 1899 negli USA, e tutti i programmi basati su ciò furono finanziati dalla Fondazione Rockefeller.
 Fondazione Rockefeller che sostenne economicamente anche l’Aktion T4 nazista, tanto che il famigerato criminale di guerra Joseph Mengele fu largamente finanziato (come riportato su Wikipedia) dalla stessa, visto che in quel periodo, sulla scia del “darwinismo sociale” e culturale che imperava, tutto ciò era considerato “normale”, e disabili, “matti” o individui non adeguati socialmente erano considerati una “resistenza al progresso” del mondo, tanto che com’è noto i sostenitori più accaniti di tali pratiche erano eminenti personalità progressiste e “democratiche”, tra cui George Bernard Shaw ( che sostenne anche la politica eugenetica nazista ).

La discriminazione verso gli omosessuali era largamente praticata all’epoca, in quanto venivano considerati o “degenerati” o afflitti da “pazzia”, e a riguardo “paradossalmente” per certi casi erano più tollerati proprio nella Germania nazionalsocialista degli inizi, tanto che diversi esponenti del primo movimento nazista lo erano, a partire dal noto Ernst Röhm e altri membri delle SA, o dai componenti del movimento giovanile  Wandervogel, che costituì oltre al naturismo, una delle basi del movimento nazionalsocialista.
Sulla propaganda omofoba diffusa per dare contro a Hitler e ai nazionalsocialisti, sono molto interessanti gli studi dello storico omosessuale di sinistra Giovanni Dall’Orto
Alcuni manifesti antinazisti dell’epoca non lasciano spazio a dubbi:
Cartolina erotico-satirica contro Hitler, 1944 circa.
Poi, la discriminazione verso i Rom era ugualmente considerata “normalità” in quel periodo e anche più in là, basti pensare che nella “civilissima” e “progressista” Svezia l’eugenetica contro di essi finì ufficialmente solo nel 1975.
Anche l’antisemitismo era assai diffuso all’epoca, e secondo “Jewish Voice”, gli storici nascoscero l’antiebraismo di Roosvelt e Truman, e lo stesso Churchill a quanto pare non aveva molta simpatia per gli ebrei.
D’altronde, secondo diversi storici non fu mai fatto niente per evitare le persecuzioni degli ebrei in Germania nonostante fossero ben conosciute oltreoceano, tanto che vi furono diverse campagne di boicottaggio contro la Germania sin da subito, e praticamente già diverse organizzazioni ebraiche statunitensi e mondiali avevano dichiarato “guerra” economica alla Germania nel 1933.
Il razzismo, la discriminazione verso i disabili e le minoranze e altro che viene identificato con il nazismo, non furono invenzioni o caratteristiche esclusive e principali dello stesso, ma erano semmai considerate “normalità” al periodo.
Ciò non significa certo minimizzare i tremendi crimini nazisti, ma portare la questione su un lato più realistico e imparziale, piuttosto del solito e ormai obsoleto paradigma che identificava la Seconda guerra mondiale come una lotta per salvaguardare la “libertà”, la “democrazia” e i “diritti umani”, quando in realtà si trattò di un conflitto tra meri interessi economici, militari e politici.

domenica 17 maggio 2015

I “cervelli in fuga” ritornano, ma l’Italia li respinge

«Quando rientrerete vi scontrerete con diverse difficoltà. Prima tra tutte lateoria della coda. Cercando un lavoro, sarete messi in fondo». Sono parole diMario Draghi, pronunciate qualche anno fa, ancora presidente della Banca Italiana, a due expat di Perugia durante un convegno della Banca Mondiale a Washington. Alessandra Quartesan e Michele Bruni venivano introdotti all’ospite d’eccezione in quanto “eccellenze italiane”. Era il 2009.Oggi, 2015, c’è una prima generazione di giovani italiani expat che sta rientrando nel Paese. Lo fanno per scelta o per necessità. E tornano tutti cambiati. Hanno occhi nuovi, freschezza di obiettivi, nuove capacità relazionali.
Sara d’Agati, 30 anni, è rientrata a Roma al termine di un Phd all’Università di Cambridge. Ha studiato la politica italiana e americana degli ultimi 50 anni. «Voglio mettermi al servizio del mio Paese», spiega. «A Cambridge ho vissuto con il 10% degli studenti più attivi e intelligenti al mondo. Ma lì non c’è spazio per me. A me non interessa cambiare l’Inghilterra, voglio cambiare il mio Paese, l’Italia che mi ha formata». Sara ha la passione per la politica fin da ragazzina e al rientro dall’Inghilterra sta cercando un modo per usare le sue competenze come tecnico politico. «Vorrei iniziare a fare esperienza lavorando nei gabinetti parlamentari». Ma la cosa più difficile, per d’Agati, è capire come fare a candidarsi. «A Cambridge era il governo britannico che mandava offerte di lavoro all’università per chiedere ai ricercatori o agli studenti di candidarsi. In Italia non esiste un percorso chiaro e trasparente. È una cerchia chiusa. E se vieni da fuori ti ritrovi spiazzato».
«Il problema di chi rientra è che non si capisce come fare a cercare lavoro», spiega. «Non c'è una rete efficiente di centri del lavoro». E allora Alessandro ha deciso di fare da sé. In parte si finanzia affittando una vecchia casa di famiglia. E in parte sta iniziando a creare un nuovo network di clienti privati, aziende che vogliono migliorare la loro presenza sui motori di ricerca e raggiungere la propria audience. «Mi ha contattato da poco un ex cliente di Expatica, racconta. È una banca indiana che offre servizi di money transfer a indiani emigrati che vogliono spedire in patria le rimesse. L’Italia è un mercato molto interessante per loro. L’Emilia Romagna, ma anche la zona tra Brescia e Cremona, è ricca di indiani del Punjab impiegati nel settore dell'allevamento del bestiame», spiega. Alessandro sta iniziando a fare le prime ricerche per capire come aiutarli a intercettare online questo bacino enorme di potenziali clienti.
16/05/2015

I “cervelli in fuga” ritornano, ma l’Italia li respinge

La vita dura dei giovani che provano a rientrare in Italia: «Siamo il futuro del Paese», dicono. Ma le porte sono sempre chiuseSilvia Favasuli  

«Quando rientrerete vi scontrerete con diverse difficoltà. Prima tra tutte lateoria della coda. Cercando un lavoro, sarete messi in fondo». Sono parole diMario Draghi, pronunciate qualche anno fa, ancora presidente della Banca Italiana, a due expat di Perugia durante un convegno della Banca Mondiale a Washington. Alessandra Quartesan e Michele Bruni venivano introdotti all’ospite d’eccezione in quanto “eccellenze italiane”. Era il 2009.Oggi, 2015, c’è una prima generazione di giovani italiani expat che sta rientrando nel Paese. Lo fanno per scelta o per necessità. E tornano tutti cambiati. Hanno occhi nuovi, freschezza di obiettivi, nuove capacità relazionali.«Quando rientrerete sarete messi in fondo alla coda», mi aveva detto Mario Draghi a WashingtonSono giovani indipendenti, autonomi. Chiacchierano poco e sono pratici e concreti. Sono innamorati dell’Italia più di quando l’hanno lasciata e hanno imparato, in costose capitali straniere, ad apprezzare le cose semplici della vita. Casa, cibo, città a misura d’uomo. E il calore di relazioni immediate, fatte anche di contatto fisico.Ma soprattutto, tornano tutti con ancora più voglia di partecipare e di lavorare di quando sono partiti (checché ne pensi Aldo Grasso). Hanno - ancor più di prima - voglia di sentirsi utili e apprezzati.Eppure, ascoltandoli, pare di capire che Draghi avesse ragione. Rientrare e reinserirsi non è per nulla facile. A meno che questi giovani, diventati nel frattempo adulti, non decidano di usare l’intraprendenza e le capacità acquisite all’estero, e di fare da sé. Perché l’Italia si ripresenta sempre con le stesse chiusure e rigidità.«Tornano ancora più innamorati dell’Italia e con la voglia di cambiarla»Sara d’Agati, 30 anni, è rientrata a Roma al termine di un Phd all’Università di Cambridge. Ha studiato la politica italiana e americana degli ultimi 50 anni. «Voglio mettermi al servizio del mio Paese», spiega. «A Cambridge ho vissuto con il 10% degli studenti più attivi e intelligenti al mondo. Ma lì non c’è spazio per me. A me non interessa cambiare l’Inghilterra, voglio cambiare il mio Paese, l’Italia che mi ha formata». Sara ha la passione per la politica fin da ragazzina e al rientro dall’Inghilterra sta cercando un modo per usare le sue competenze come tecnico politico. «Vorrei iniziare a fare esperienza lavorando nei gabinetti parlamentari». Ma la cosa più difficile, per d’Agati, è capire come fare a candidarsi. «A Cambridge era il governo britannico che mandava offerte di lavoro all’università per chiedere ai ricercatori o agli studenti di candidarsi. In Italia non esiste un percorso chiaro e trasparente. È una cerchia chiusa. E se vieni da fuori ti ritrovi spiazzato».«A Cambridge il governo inviava offerte di lavoro all'università. Qui a Roma non capisco come si faccia a trovare lavoro come tecnico politico. Ci sono cerchie ristrette e inaccessibili»Da PerugiaAlessandra Quartesan, 39 anni, risponde al telefono con voce squillante. È in Italia da tre anni ormai. A fine 2012, dopo una vita spesa tra Nicaragua, Usa e Messico lavorando come architetto per grosse aziende private prima e per la Banca Interamericana di sviluppo poi, ha deciso con il marito Michele di tornare nella città natale. «Volevo che i miei due figli conoscessero questa mitica Italia di cui tanto avevano tanto sentito parlare». Ma anche per lei, oltre alla nostalgia per il cibo e la varietà del paesaggio umbro, si trattava di voler portare qui le capacità acquisite all’estero. Nel Paese che «ha investito su di me».Al rientro, Alessandra ha continuato a lavorare da remoto per la Banca Interamericana. Poi, ha collaborato con il ministero degli Esteri italiano. «Era il 2013. Aspetto ancora di essere pagata». Ma «tornare – spiega - è stata per noi una scommessa. E abbiamo deciso di andare fino in fondo». Usando 20.000 euro di fondi offerti dal programma BrainBackdella regione Umbria, hanno deciso di aprire una startup per il turismo di eccellenza, Autentica. L’idea è di offrire pacchetti turistici tagliati sulla mentalità, cultura e bisogni del cliente straniero. Si offrono esperienze, e non solo tour. «Portiamo i turisti a raccogliere tartufi in compagnia di un agronomo, o a visitare laboratori artigianali», racconta. «Abbiamo selezionato i migliori prestatori di servizi sul territorio». Michele, il marito, ha aperto anche lui una società in Gran Bretagna insieme a un socio conosciuto in Messico. Si chiama Enterprise project ventures ed è un gruppo di imprese a impatto sociale per risolvere problemi di sviluppo economico. «Il prodotto principale – spiega Alessandra - è !nspirafarms, centri di trasformazione agroalimentare di piccola scala (30-210m2), energeticamente indipendenti con energie rinnovabili, che siano finanziariamente accessibili a produttori di piccola scala».«Bisogna perdere l’equilibrio per trovarne uno migliore»Anche se Alessandra è tornata a fare i conti con la burocrazia italiana - molti impiegati pubblici «si sentono in pensione dal momento in cui mettono piede nella Pa», dice - , e i marciapiedi su cui non passa il passeggino, crede fortemente che la generazione di giovani usciti dall'Italia e rientrati nel Paese possa portare una ventata di aria fresca. «Andare all'estero serve a capire che molte cose si possono fare meglio. E siccome difficilmente si inventano cose nuove, potremmo limitarci a imparare a copiare bene quel che fuori funziona», spiega. Per questo consiglio a tutti di uscire, andare a vedere, conoscere. Bisogna perdere l’equilibrio per trovare uno migliore».«Andare all'estero serve a capire che molte cose si possono fare meglio»Alessandro Barbarisponde dal Lago di Como. È rientrato in Italia dopo sei anni trascorsi tra Serbia, Polonia, Belgio e Olanda. Nell'ultimo Paese in cui ha vissuto, ha lavorato come consulente marketing per Expatica, un portale dedicato agli expat in ingresso in Olanda. «La gestione dei talenti all’estero è pianificata ed efficiente. Paesi come l’Olanda capiscono di quali profili hanno bisogno e poi fanno il possibile per attrarli dall’estero se non ne hanno a sufficienza in patria». Lavorando per Expatica, Alessandro ha imparato a gestire le relazioni con aziende corporate o piccole imprese interessate a raggiungere gli expat online. Rientrato in Italia ha messo a frutto quanto imparato all'estero.«Il problema di chi rientra è che non si capisce come fare a cercare lavoro», spiega. «Non c'è una rete efficiente di centri del lavoro». E allora Alessandro ha deciso di fare da sé. In parte si finanzia affittando una vecchia casa di famiglia. E in parte sta iniziando a creare un nuovo network di clienti privati, aziende che vogliono migliorare la loro presenza sui motori di ricerca e raggiungere la propria audience. «Mi ha contattato da poco un ex cliente di Expatica, racconta. È una banca indiana che offre servizi di money transfer a indiani emigrati che vogliono spedire in patria le rimesse. L’Italia è un mercato molto interessante per loro. L’Emilia Romagna, ma anche la zona tra Brescia e Cremona, è ricca di indiani del Punjab impiegati nel settore dell'allevamento del bestiame», spiega. Alessandro sta iniziando a fare le prime ricerche per capire come aiutarli a intercettare online questo bacino enorme di potenziali clienti.«Mi lamento di meno e faccio di più. Ho imparato che perdere il lavoro non è un dramma»L’Olanda soprattutto gli ha insegnato ad essere più intraprendente e dinamico. «Mi lamento di meno e faccio di più. Mi sento molto più sicuro e non sono terrorizzato dall'idea di perdere il lavoro da un momento all'altro. E se mi dicessero di partire domani non avrei nessun problema a farlo», spiega. Le ragioni per cui è rientrato? Perché l’Italia, alla lunga, manca. «Quando espatri ti accorgi che fuori non è tutto rose e fiori. Ci sono sì efficienza e pragmatismo. Le cose funzionano meglio. Ma si perdono anche molte sfumature importanti per vivere bene. Ad Amsterdam devi organizzare una cena tra amici almeno due settimane prima perché tutti sono sempre impegnati e di corsa. Anzi, quanto più sei preso, tanto più sei considerato importante».In Italia però, non va tutto bene. «Questo Paese deve diventare più attraente per i professionisti e lavoratori stranieri. Perché solo se si apre a chi viene da fuori può ripartire e migliorare». Alessandro è rientrato con la ragazza brasiliana conosciuta ad Amsterdam.Ottenere un visto per lei che le permettesse di lavorare è stato tanto difficile che alla fine hanno dovuto organizzare un matrimonio nel giro di un mese. Di modo da permettere a lei di firmare un contratto. Aprirsi all'estero vuol dire per lui anche«abbattere la barriera incredibile che la Bossi-Fini mette nell'attrarre talenti».«Per essere utili al Paese, non dobbiamo mai smettere di guardare le cose con distacco. Se ci riabituiamo a quel che non va è finita», riprende Alessandra Quartesan. «Il futuro dell’Italia è nelle mani di noi expat», dice convinta Sara d’Agati, che per ora cerca di sconfiggere l'immobilismo italiano martellando articoli sul suo blog. «In Inghilterra stavo bene ed ero felice. Ma è qui che voglio stare, e troverò un canale nella società italiana per produrre cambiamento». L’Italia, chiede, «si apra alle idee, e anziché dire: “Non ce la farai, non è possibile, non funziona”, faccia come fanno gli inglesi: ci creda, ci provi, e ci dia gli strumenti e lo spazio per realizzarle».

Libia: ministro Tobruk, “allarme Isis sui Barconi”

"Nelle prossime settimane arriveranno in Italia ancheterroristi dell'Isis a bordo di barconi di migranti". E' quanto diceOmar al Gawari, il ministro dell'Informazione del governo libico diTobruk, quello riconosciuto dalle forze internazionali. "Malta e l'Italia saranno interessate da operazioni di attacco attraverso i porti che sono dominati da Fajr Libya", ha aggiunto, puntando il dito contro i filo-islamici al potere a Tripoli.




"Nelle prossime settimane l'Italia sperimenterà l'arrivo non solo di poveri emigranti dall'Africa, ma anche di barconi che trasportano Daesh" (Isis), ha detto al Gawari, di passaggio a Il Cairo. "L'esercito e i responsabili libici hanno informazioni in proposito", ha precisato senza voler aggiungere altro.

"Le Forze armate libiche devono essere ben equipaggiate per far fronte all'emigrazione clandestina: sia la Marina che protegge le coste, sia l'esercito che protegge le frontiere terrestri", ha sostenuto ancora Al Gawari. Per combattere il terrorismo, ha sottolineato ribadendo un'annosa richiesta, "i libici vogliono che sia levato l'embargo sulle armi e pagheranno col loro denaro per acquistare le armi necessarie per restaurare la pace e la sicurezza nel Paese". "Non abbiamo bisogno di aerei", ha sottolineato.

"Per questo chiediamo alla comunità nazionale di indirizzare un messaggio ai golpisti di Tripoli di smetterla", lasciando operare "il governo legittimo che è stato eletto", quello insediato a Tobruk.

Scettici gli 007 italiani - Sono accolte con "scetticismo" dall'intelligence e dall'Antiterrorismo le dichiarazioni del ministro dell'Informazione del governo libico di Tobruk, Omar al Gawari, sui terroristi dell'Isis che arriverebbero in Italia nelle prossime settimane a bordo di barconi di migranti. Non è la prima volta che si parla di questa minaccia, ma finora non c'e' stato alcun riscontro. Se effettivamente militanti dell'Isis volessero arrivare in Italia - è la considerazione di 007 ed investigatori - non lo farebbero certo rischiando la vita a bordo di barconi fatiscenti utilizzati per le traversate e con la prospettiva poi di dover sottoporsi ai controlli delle autorità italiane una volta soccorsi.

venerdì 15 maggio 2015

Milano piange, Expo non è il Salone del Mobile

L’esposizione universale non sta dando i risultati sperati all’indotto milanese. Del Corno: «Impensabile paragonare i due eventi»
«Il boom di Expo? E chi lo ha visto?». È un coro unanime quello dei commercianti e ristoratori del centro di Milano. Nei luoghi in cui si sarebbe dovuto riversare il flusso di turisti trainato dalla manifestazione universale, sembra si stiano invece tracciando i contorni di un mezzo flop, almeno per quanto riguarda il bilancio di queste prime due settimane. Da Brera a piazza Castello, passando per via Dante, corso Vittorio Emanuele fino ad arrivare a San Babila, c’è un sentire comune che attraversa il cuore turistico meneghino, una linea sottile che unisce il malcontento di chi si aspettava un incremento del fatturato e invece si ritrova a dover sbattere il muso contro la pragmaticità dei fatti: Expo è una realtà che vive di vita propria, un corpo estraneo con dinamiche e comportamenti che niente hanno a che fare, e che niente portano in più, alla città di Milano. Il punto gira intorno alle aspettative del tessuto economico milanese che forse ha paragonato con troppa facilità l’Expo al Salone del Mobile, evento che dura una settimana in aprile, da anni traino economico per la città. Nel 2015 i flussi turistici del salone sono cresciuti del 7,2% rispetto all’edizione del 2014. La Camera di Commercio di Milano ha calcolato che l’indotto per gli alloggi quest’anno è stato di quasi 172 milioni di euro: per aperitivi e cene del “dopo Salone” e del Fuori Salone si sono spesi circa 20 milioni di euro.

Addio a B.B. King, il re del blues



















Addio al re del Blues. B.B. King è morto all'età di 89 anni nella sua casa di Las Vegas. Lo riporta Usa Today. Ad aprile King era stato ricoverato in ospedale. A ottobre scorso aveva avuto un malore durante un concerto, dovendo cancellare il resto del tour. All'origine c'erano, anche in quel caso, le conseguenze del diabete diagnosticatogli oltre vent'anni fa.
"Il nome di King è sinonimo di blues, tanto quanto un tempo quello di Louis Armstrong lo era per il jazz" ha scritto il critico Francis Davis nel sul libro "The history of the blues". "Non bisogna essere un fan del blues per aver sentito parlare di King" che per sessant'anni ha trionfato sui palcoscenici di tutto il mondo.

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Britain's ancient connection to Carthage

It may look like a misshapen disk of metal, but this coin is one of the oldest ever to be found in Britain.
The tiny copper coin, which is smaller than a penny, dates from the Iron Age almost 2,300 years ago and suggests there were links between the south west of England and the Mediterranean.
It was found in silt after the River Avon burst its banks between Bristol and Bath.

Quello che vedete nella foto è una delle più antiche testimonianze dei rapporti commerciali tra la Gran Bretagna Con La Sardegna o con Cartagine, perché questa moneta arriva da queste zone del Mediterraneo.

The tiny copper coin, which is smaller than a penny, dates from the Iron Age almost 2,300 years ago and suggests there were links between the south west of England and the Mediterranean

Questa moneta di bronzo risale  all'età del ferro 2300 anni fa.

On one side of the coin there the image of the Goddess Tanit, the chief deity of Carthage, (pictured left) while on the reverse is a horse’s head, pictured right

Su un lato è visibile la Dea Tanit sull'altro la testa di cavallo, Moneta presente nei territori della Sardegna e di Cartagine.

Il ritrovamento è avvenuto tra Saltford tra Bristol e Bath in Inghilterra del Sud Ovest.